**spoiler alert** “Trust” by Hernan Diaz is not a traditional novel: instead, it is a collection of four different types of works, which are the unaut**spoiler alert** “Trust” by Hernan Diaz is not a traditional novel: instead, it is a collection of four different types of works, which are the unauthorized fictionalized biography of a Wall Street tycoon, Andrew Bevel, his uncomplete authorized biography, the memoir of his ghost writer and the diaries of his wife. So, at least apparently, the author’s aim consisted in telling us the story of Andrew Bevel from different perspectives, adding layer to layer and composing this puzzle of unreliable narrators.
Personally, I wasn’t particularly interested in the mere plot of the book: reading the story of this American man who became extremely wealthy in the 1920s investing his money didn’t thrill me at all; what actually caught my attention was the structure of the book. Therefore, I wasn’t surprised to find myself quite bored by the first part of this book: I appreciated the characters’ portrayal, but there were entire paragraphs I wasn’t able to understand well because they were too technical for my little knowledge of the financial world, and after all I just confirmed my lack of interest in the theme.
However, I was excited about starting to read the second part of the book: sadly, I didn’t enjoy it either. What disappointed me the most was the fact that I didn’t notice a clear difference between the writing styles of these first two parts; moreover, the autobiography didn’t teach me much more about the main character than the first quarter did, and I didn’t even find the two versions to be much dissimilar from one another. The main difference was about Andrew’s wife, Mildred: while in the novel she was described as a woman who ended up mentally ill in a treatment centre in Switzerland, there isn’t a single word about this in the biography. Mildred is described as the perfect woman, who sadly got physically sick and died young.
The third part of the book was definitely my favourite: it is written by Ida Partenza, the ghostwriter of Andrew, and I appreciated the fascinating insights that Ida’s memoir gives us about women’s lives in the 1920s. For example, I loved her passion for detective books written by women and I loved even more the way they influenced her by teaching her that she herself could write “something dangerous”. This part of the book also makes us understand that the writer of the fictionalized biography decided to portray Mildred as a crazy woman because in reality she was unconventional and solitary. Ida is able to evoke some powerful images about the women’s condition at her times, for example: “We both were young women trying to grow in narrow crevices, hoping to break them and expand them in the process.” About Andrew we just learn, once again, that he wants to give this image of himself to the world where he is the saviour of America’s economy and the most important tycoon of his country, that his ascent led to the ascent of the USA and that he is obsessed with the idea of presenting his wife as a normal woman. Ida has to describe her as docile, patient, a music’s lover, educated and kind, and she has to write about her in everyday life’s situations only. It is at this point that I understood that the book I was reading wasn’t about Andrew at all: it was about Mildred.
In fact, in the final chapter, we learn from her diaries that she wasn’t at all like Andrew wanted to describe her: she was the one who allowed him to make the money he made. She was the mind, he was the actor, because as a woman she would never be able to enter the financial world and be taken seriously by the other men (Bevel himself at a certain point despises those women who tried to invest money and get rich). In addition to this, we find out that of course he wasn’t “doing what was good for his country”: I wasn’t able to perfectly get what he did (always because I don’t understand a thing about finance), but I could understand that he did something, before the 1929 crisis, that worsened it for other people, allowing himself to enormously profit from it.
In conclusion, the only part of this book that I truly appreciated was Ida’s memoir for the reasons I have already listed. The first too parts were too similar to one another and everything was too repetitive, technical and tedious. The diaries were quite boring too, of course except for the plot twist they brought along. I think this book had a great potential, but it wasn’t taken advantage of at all. ...more
“Buchi bianchi” è l’ultimo saggio scritto da Rovelli, uno dei pionieri della Loop Quantum Gravity, che infatti, in queste poche pagine, prova a condiv“Buchi bianchi” è l’ultimo saggio scritto da Rovelli, uno dei pionieri della Loop Quantum Gravity, che infatti, in queste poche pagine, prova a condividere con il pubblico una possibile applicazione di questa affascinante teoria.
Cos’è la singolarità di un buco nero e cosa succede quando viene raggiunta? È una domanda che non può ricevere risposta se non tramite una teoria di gravità quantistica. Rovelli, con Haggard, che ai tempi era un suo studente, prova quindi a rispondere usando la sua teoria, la LQG. Sebbene questa teoria non sia mai stata verificata, è fondamentale che essa venga applicata, perché teorie così avanzate e che assumono rilevanza in contesti così poco familiari (buchi neri, big bang) possono essere confermate da osservazioni sperimentali solo indirettamente, tramite la conferma delle loro previsioni. Sono rimasta sorpresa e ammaliata dal fatto che Rovelli avesse deciso di condividere con il grande pubblico un’ipotesi, un’idea sicuramente basata su forti fondamenta matematiche e fisiche, ma comunque qualcosa di nuovo e “in corso”. Devo ammettere che, in quanto studentessa di fisica che è sempre stata affascinata dalla fisica teorica moderna, mi ero stancata di leggere sempre le stesse cose: meccanica quantistica, relatività. Per quanto tematiche incredibilmente affascinanti, ad un certo punto le potenzialità della divulgazione si fermano, ed è possibile proseguire con la scoperta solo tramite lo studio, le lezioni e i manuali. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo, qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare, che potesse stupirmi e ricordarmi che la fisica teorica non si è fermata. Avrà anche fatto il botto nei primi del ‘900, con la teoria della relatività speciale e generale e con la meccanica quantistica, e successivamente con la teoria delle stringhe e le sue teorie rivali. Ma non si è arenata, anzi il mondo è pieno di fisici pronti a proporre idee brillanti e ad esplorare orizzonti di cui nemmeno si sapeva l’esistenza. E Rovelli ha incontrato a braccia aperte questa mia necessità.
In sole 130 pagine Rovelli riesce ad esplorare l’idea di “buco bianco” da molte prospettive diverse: parte ovviamente da ciò da cui si forma un buco bianco, ovvero un buco nero (come nasce e come si sviluppa) e ci spiega cosa sia davvero una singolarità, smentendo le credenze comuni; ci fa intuire quale sia stata l’idea del suo studente e in quale punto preciso la LQG prenda il sopravvento (e dove invece la relatività generale di Einstein debba continuare a valere); esplora sia il punto di vista interno del buco bianco, sia quello esterno, chiarendo che cosa debba aspettarsi un osservatore che guarda questo fenomeno da lontano; e infine esplora gli aspetti irreversibili di questa trasformazione, e torna ancora una volta su quello che è chiaramente il suo argomento preferito, ossia il tempo.
Questo piccolo volume è ricchissimo di sorprese: ad ogni nuova spiegazione, il lettore è portato a spalancare gli occhi, oppure a chiedersi “ma come?” perché fino a poco prima non si sarebbe mai aspettato uno sviluppo del genere.
La lettura ha suscitato in me continue domande, continui dubbi, alcuni che sono stati almeno parzialmente chiariti nei capitoli successivi, altri che mi sono rimasti. E lo considero un aspetto ben più che positivo, penso che stimolare la curiosità del lettore affinché possa poi approfondire da sé sia un’abilità fondamentale per chi fa divulgazione.
Questa è stata la mia esperienza con “Buchi bianchi”: a mio parere Rovelli ha fatto un ottimo lavoro. A differenza di “Helgoland”, che mi aveva lasciato con l’amaro in bocca perché troppo filosofico e troppo poco fisico per i miei gusti, con questo nuovo piccolo saggio l’autore ha fatto centro. Le spiegazioni sono chiare e concise, dritte al punto. Le divagazioni tipiche di Rovelli non sono state eccessive, giusto il necessario per rendere il tutto un po’ più personale. Le similitudini che ha utilizzato sono state indovinate, e penso siano perfette per un dilettante (in questo caso, visto quanto è avanzato il tema trattato, rientro sicuramente anche io nella categoria).
Insomma, “Buchi bianchi” mi ha davvero soddisfatto appieno e lo consiglio a chiunque sia affascinato dalla fisica moderna e dai misteri del nostro universo. ...more
“Doveva essere il nostro momento” è un romanzo on-the-road di Caruso, centrato attorno al viaggio dalla Sicilia al Piemonte di Leo, un millenial disil“Doveva essere il nostro momento” è un romanzo on-the-road di Caruso, centrato attorno al viaggio dalla Sicilia al Piemonte di Leo, un millenial disilluso e ormai quasi indifferente alla realtà, e Cloro, una ragazza appartenente alla generazione Z e al primo gruppo di giovani che sono riusciti a diventare famosi grazie a YouTube.
I due si incontrano nel cuore pulsante di questo libro, ovvero il “baglio”, una comune nascosta nell’entroterra siciliano, nella quale i suoi componenti vivono come se fossero negli anni ’90: la moneta di scambio sono i ciucci di plastica, la musica che ascoltano proviene dalle cassette ed è quella degli 883 e di sera guardano tutti insieme la registrazione del Festival di Sanremo del ’95. Ritirati in questo luogo isolato ci sono due gruppi: i Ritornati, nati prima del ’91, che quindi sono stati adolescenti durante il cosiddetto “Decennio perduto” e i Non nati che, venuti al mondo successivamente, non avevano mai conosciuto direttamente il “Mondo in equilibrio”. Leo fa parte del primo gruppo, Cloro del secondo. Ciò che tutti hanno in comune è l’impellente bisogno di fuggire dal “Mondo in rovina”, ovvero la realtà contemporanea, fondata su internet, sui social network e su un divagante senso di disperazione.
Tuttavia, ad un tratto il mondo reale li richiama a sé: i due perciò, tramite un viaggio in auto della durata di diversi giorni, risalgono attraverso l’Italia fino alla terra d’origine di Leo.
Questo romanzo è l’incontro e scontro poco discusso tra due generazioni apparentemente molto vicine, ma divise da incolmabili differenze: Leo è un uomo disilluso e nostalgico, così come i trentenni di oggi, che sono nati in un periodo in cui sembrava che il mondo non potesse che migliorare, con la tecnologia e l’interconnessione permessa da internet; invece, ad un certo punto sono rimasti disincantati dalla crisi economica, dalla recessione, dalla crisi climatica, dalla disoccupazione. I loro sogni sono andati in frantumi, e non possono che rimuginare su quell’infanzia spensierata. Cloro, al contrario, simboleggia i ventenni che sono nati in un mondo già pieno di problemi e povero di sogni: non ha nessun passato felice a cui aggrapparsi, sia per la sua situazione personale, sia più in generale perché non ha mai sperimentato la sensazione di vivere in una società fiorente, che avrebbe permesso la realizzazione di tutti i suoi obiettivi e desideri.
Si può sicuramente affermare che il motore di questo romanzo sono proprio i suoi protagonisti, entrambi peculiari nel loro carattere e tratteggiati in maniera singolare.
Di Leo si dice:
“Il suo tratto distintivo era essere dominato da una profonda incoerenza nell’indole, che era tanto cauta e restia al cambiamento, quanto istintiva e propensa alle botte di testa, di cui quasi mai si pentiva. Era come l’asino affidabile che si lascia caricare ancora e ancora, finché senza alcun preavviso non si strappa il carico di dosso e corre via, e vaffanculo al contadino. Solo che, nella sua vita, lui era sia l’asino che il contadino.”
Di Cloro invece:
“La sua espressività era sempre esagerata, ma Leo aveva imparato a non vederla come falsità, piuttosto come un segno d’insicurezza: temeva che le sue reazioni, le sue emozioni, non si notassero, se non erano a volume dieci.”
Ho apprezzato molto la coerenza con cui i personaggi vengono ritratti a 360 gradi, Caruso li inonda di luce da ogni prospettiva possibile, e tutti i loro pezzi si incastrano alla perfezione.
Caruso è senz’altro molto abile anche a far emergere aspetti tipici delle generazioni di cui parla, e portare avanti riflessioni con cui è facile identificarsi. Per esempio, quando Leo esce dal baglio, finalmente può riavere il suo cellulare e corre subito a controllare le mail:
“Tornò il quotidiano senso di troppo [...], lo riconobbe e in un certo senso lo salutò con sollievo. Il panico davanti alle mail si trasformò in delusione nello scoprire che si trattava perlopiù di spam e newsletter.”
L’autrice propone anche riflessioni interessanti sull’era contemporanea, per esempio:
“Il problema non era la realtà, perché la realtà è sempre stata uno schifo. Ma noi non dovevamo assorbirla con la frequenza con cui la assorbiamo adesso. [...] La mente umana non è stata concepita per conoscere costantemente i pensieri degli altri.”
O ancora, a un certo punto Leo espone la sua teoria del “figlio d’ombra”: l’idea è che i genitori si facciano un’idea di quello che sarà il loro figlio prima ancora che venga alla luce, e spesso rimangano delusi dal loro figlio reale, e se la prendano con lui, perché non rispecchia il figlio d’ombra che si erano “preparati ad amare”.
“Quell’idea continua a esistere dentro le loro teste. La vedono in controluce nonostante nella luce ci sia tu, che cresci a modo tuo, proprio davanti ai loro occhi, proprio lì.”
È un paragrafo che mi ha fatto riflettere profondamente, sul fatto che forse non solo i genitori hanno questo figlio d’ombra. Forse tutti tendiamo ad immaginarci il corrispondente d’ombra dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri partner. E talvolta non siamo in grado di amare le persone reali che ci circondano, perché le avevamo idealizzate in modo diverso e il loro comportamento non collima con quello che ci saremmo aspettati.
A un certo punto poi si parla di come internet non consenta ad una persona di crescere e migliorare: ciò che abbiamo affermato in passato resta lì per sempre, non c’è modo di liberarsene. Una frase scritta dieci anni prima può diventare infamante nel presente, quando ormai magari nemmeno la persona che l’ha scritta la condivide più. “Non poteva andare avanti e non poteva tornare indietro: solo sommarsi.”
Anche la capacità dell’autrice di descrivere immagini evocative mi ha sorpreso in continuazione:
“Leo aveva immaginato che la prossima frontiera dei social sarebbe stata quella di condividere i sogni. Non raccontandoli, ma in diretta mentre venivano fatti. Ancora pochi anni e duecento milioni di utenti avrebbero creduto di essere gli unici a fare dei sogni incoerenti, incestuosi, violenti, mentre i sogni delle Cloro sarebbero stati perfetti, tutti unicorni, arcobaleni e nuovo Estathè gusto nuvola in confezione compostabile.”
“Che cos’era Leo, un giovane o un adulto? Gli sembrava [...] di essere nato persona e di essersi strada facendo trasformato in un animale grottesco, metà uomo e metà macchina produttiva alimentata a rancore.”
“Visualizzava la vita come un lungo scontrino, una continua operazione in colonna sotto cui avrebbe tirato una riga e calcolato il risultato solo il giorno in cui il buon Dio, finalmente, lo avrebbe preso a sé.”
Purtroppo, al di fuori di queste immagini potenti, non mi ha fatto impazzire lo stile di scrittura: l’ho trovato un po’ impersonale, a tratti i periodi erano scritti in un modo quasi meccanico e mi è capitato di dover rileggere certe frasi perché non mi risultavano chiare a primo impatto per come erano formulate.
Un elemento del romanzo che mi preoccupava era la sua ambientazione nel 2020, e quindi la presenza del covid e dei lockdown. Personalmente non ho apprezzato né i film né le serie tv che hanno integrato questa tematica pesantemente, anzi mi hanno suscitato una profonda ansia e avevo paura che questo romanzo avrebbe fatto lo stesso. Al contrario, Caruso riesce ad intrecciare la sua storia con quella della pandemia in modo lieve, senza appesantire il racconto ma evocando un’atmosfera surreale che è perfetta per il ritorno di Cloro e Leo al mondo reale.
Insomma, ci sono parecchie caratteristiche che sono state di mio gusto in questo libro. Purtroppo però ho anche percepito la mancanza di qualcosa, come se al di fuori di questi lampi di brillantezza il resto delle pagine rimanessero un po’ vuote. Questo libro contiene sicuramente pagine che meritano di essere lette, eppure risulta essere un contenitore troppo ampio. Se fosse stato un po’ più concentrato credo che avrei saputo apprezzarlo di più. Inoltre ho già sottolineato come lo stile di scrittura non mi abbia fatto impazzire. Devo dire però che la struttura del romanzo è parecchio audace: infatti, per tutta la prima metà del libro, Cloro non emerge per niente; apparentemente la vera protagonista dovrebbe essere lei, invece per oltre 200 pagine vediamo solamente Leo, e vediamo Cloro solo dal punto di vista di Leo. Sicuramente l’impatto che il lettore riceve quando invece a un certo punto Cloro salta fuori in tutta la sua forza e complessità è notevole, quindi da questo punto di vista l’idea funziona. Resta il fatto che forse proprio per questo la prima parte del romanzo avrebbe potuto essere un po’ più breve....more
**spoiler alert** Following “The Idiot”, Elif Batuman’s “Either/Or” explores the next chapter of Selin’s journey. In this novel, Selin, a young Americ**spoiler alert** Following “The Idiot”, Elif Batuman’s “Either/Or” explores the next chapter of Selin’s journey. In this novel, Selin, a young American girl of Turkish origins, is attending the second year at Harvard University. I was happy to meet again with Selin’s naivety as well as with Batuman’s subtle sense of humour.
The major theme that is investigated in the novel regards what is the best, or even the right way to live one’s life. In fact, the title is a reference to “Either/Or” by Kierkegaard, a philosophic essay that compares the aesthetic life to the ethic life. Selin reads this book, as well as others like “Eugene Onegin”, “The portrait of a lady” and “Nadja”, hoping to find a hint on how to conduct her existence; in fact, we repeatedly see her noticing references to her own little life inside these invaluable classics, which is one of the hilarious aspects of this novel.
“I found the idea of an aesthetic life to be tremendously compelling. It was the first time I had heard of an organizing principle or goal you could have for your life, other than making money and having kids.”
After all, Selin is naïve, and she doesn’t completely understand the deep meaning hidden through the pages she leaves through, but she is intelligent enough to perceive that the society she lives in wants from a woman like her something that is not compatible with her own desires, even if she still isn’t aware of what such wishes and dreams could be. As in “The Idiot”, these reflections are also linked to Selin’s everyday life, for example to her lessons. An emblematic example is the ethics seminar she follows, where they discuss absurd situations like “Was it morally wrong to have a child if you knew that most of her life would be happy, but the last five years would be extremely unhappy?”. Of course, Selin’s ideas are always iconic: “I didn’t get why the extremely unhappy person wasn’t allowed to kill herself before she messed up her average.” And she goes on: “I wished there was a class where they could teach you how to calculate the right time to die. The current arrangement – for everyone to sit there piously waiting for whenever their body happened to shut down – seemed so far from ideal.”
The “what is the best way to live” issue is linked to another leitmotif of this novel, that is time: its irreversibility, its ephemerality. We can find a connection between the two subjects in the following quote:
“The temporariness made it all more important to do the right thing.”
As a young woman, Selin dreads the idea of wasting her youth, of making the wrong choices, of ending up a virgin when it’s too late (of course, this is once again what society taught her), of not seizing the moment. However, the situation is more complex than that, especially when the author brings up Selin’s past and memories, instead of her worries about the present and future. Selin wasn’t left with a positive impression about her early life, but when she digs deeper, she’s unable to find out why: she is too respectful of her mother to even just imagine she may have made some mistakes.
“It couldn’t have been depressing, because my mother had worked so hard to make it not be depressing. And yet – was it possible that how hard my mother worked was part of why it had been depressing?”
Selin is also unwilling to accept how things turn out to be (for example with Ivan).
“I felt that this was what I was fighting against, and always had been: the tyranny of the particular, arbitrary way that things happened to have turned out.”
Isn’t this how we all feel when we are young, and our whole life has been somehow controlled, by school, by our family, by our inability to act like we really wanted, because we were stopped by fear or self-consciousness?
As suggested by some clues I left above, another main theme of the novel is feminism and the role of women in society. Selin is extremely naïve and uninformed about this topic too, not because of herself of course, but we notice it from some of her statements, for example:
“I would work ten times harder than they did, and everyone would eventually acknowledge I was doing a better job.”
Clearly, she is referring to a job that has been designed for men: even though she knows that she can do that job anyway, she’s too immature to make the next step, and acknowledge that she shouldn’t be working ten times harder than men to be perceived as good enough. Another time when she shows her resentment towards men who disrespect women is when she’s reading “In search of lost time” and she gets angry at Proust because of the portrayal he wrote of his grandmother:
“What was good about that: about a grandmother’s “love” for you and disregard of herself?”
Or when she meets a new girl, and finds herself reflecting about her beauty, she recognizes that it is weird that, every time she meets a new girl, she is immediately brought to wonder whether and in what way she is beautiful. And she gets angry remembering her female relatives accusing other girls of always acting out of jealousy, and being convinced that they were the only ones immune to this vice.
On the other hand, most of the times she can’t separate her view from what the patriarchy taught her: she reads a book called “The rules: time-tested secrets for capturing the heart of Mr. Right” (which gives out pieces of advice like “Never tell a man that you love him”), and concludes that such rules must be correct, because they are confirmed by the fact that Tatiana in “Eugine Onegin” doesn’t respect them, and ends up not having Eugine; therefore, she must have lost Ivan because she was faulty at following the rules too. Or again, in all the books she reads, she can’t help but always wonder what the female protagonists did wrong to deserve such a doomed fate. The worst manifestation of this inability emerges when sex enters the scene.
In fact, in this second volume, the author delves deeper into themes that were just mentioned in the first: for example, I was delighted to find out that the protagonist finally has her first sexual experiences. In my review of “The Idiot” I had pointed out that this topic was something missing, because the book dealt with her relationship with Ivan, but it maintained it only on an intellectual level. In this case though, Selin discovers this new part of herself and of her relationships, and it doesn’t really go well for her. I must admit some scenarios looked a bit exaggerated to me, however I appreciated the awkwardness of the sex scenes and the thoughts that go through her mind that have nothing to do with the situation she’s living. Selin seems disappointed by the act of sex, she doesn’t understand it, she doesn’t feel any pleasure, everything was so real that reading those paragraphs sent chills down my spine. She also ends up caged by men who don’t give a shit about her consent, and the most painful aspect is that she accepts it, as if no one had ever told her before that she has the right to say no.
Regarding this aspect of Selin’s life, Batuman also sends out signals about the fact that she might be more attracted to women than men: she fantasizes about dating Svetlana, she admits that women are more beautiful than men and looking this up on the internet I found out that the author herself is queer and has lived a similar experience. This makes me hope that in a future book Selin will investigate more deeply this side of herself.
To conclude, I appreciated this book very much, both because of its style and its content: the only aspect that I didn’t enjoy was the fact that in the second half of the book, when Selin goes to Turkey, it seems like everything begins to revolve only around sex. It gets also a bit grotesque at certain points. I would have preferred if the author had analysed in a deeper way the theme of Selin’s identity as both Turkish and American....more
**spoiler alert** “The ocean at the end of the lane” is a surreal and mysterious novel written by Neil Gaiman: its main character is an unnamed man wh**spoiler alert** “The ocean at the end of the lane” is a surreal and mysterious novel written by Neil Gaiman: its main character is an unnamed man who goes back to the farmhouse where he had lived when he was a kid. Sitting by a pond that his childhood friend and neighbour, 11-year-old Lettie Hempstock, used to call the Ocean, he suddenly remembers what had happened when he lived there. And from now on the narrator becomes himself as a 7-year-old boy.
Gaiman is so capable of putting himself in a child’s shoes, that I felt as if I was reading a book aimed at children, at least until some clearly-inappropriate-for-a-kid scenes occur. However, the portrayal of the protagonist is accurate in every detail.
I loved the magical world he depicts too: it is not a fantasy realm populated by elves and fairies, but a common lane with some scattered farmhouses that the author is able to mould and shape as he likes, transforming it into an unsettling and eerie setting. The way he plays with not only some other-world characters, like Ursula Monkton, but with the child’s parents too, making his dad wicked at a certain point, and not allowing them to enter the fairy ring, enhances the disquiet of the story. Adults cannot be trusted, they can never fully understand a child’s experience:
“She was the storm, she was the lightning, she was the adult world with all its power and all its secrets and all its foolish casual cruelty. […] Ursula Monkton was an adult. It did not matter, at that moment, that she was every monster, every nightmare made flesh. She was also an adult, and when adults fight children, adults always win.”
Another skill that Gaiman possesses is the ability to convey some feelings and sensations that do not even exist in our reality: when he describes “the language of shaping” that Lettie Hempstock speaks and the protagonist can only understand in his dreams. Or when he enters the Ocean, and for a moment he is able to understand and know everything. Sometimes when authors try to describe things like this they fail: they are not able to say enough but not too much and they can’t find the right words to get across the nobility and grandiosity. Gaiman, on the other hand, doesn’t have this problem at all.
To conclude the list of features I appreciated, I want to mention the end of the book: if everything had ended well, with everyone safe and sound it would have been too much of a children’s book. What Gaiman did, deciding to bring up death and guilt, according to me was the right choice.
What kept me from rating this book with five stars was that I felt like something was missing: maybe a sort of rulebook that could guide the magical world he built, like what could be and what could not be done. Of course, I didn’t expect an actual set of rules listed at the beginning of the book, that would have been ridiculous, but I think he could have better communicated how the magical system worked.
All in all, it was an enjoyable reading, but also a profound novel about memory, childhood, friendship and death....more
**spoiler alert** “Beautiful world, where are you”, by Sally Rooney, is a novel written in the author’s typical and simple style, and it deals with th**spoiler alert** “Beautiful world, where are you”, by Sally Rooney, is a novel written in the author’s typical and simple style, and it deals with themes similar to those already explored in her previous works.
The plot follows the lives of two women, Alice and Eileen, who met during their university years, when they rented an apartment together in Dublin. After that, Alice wrote a novel and became rich and famous, but this path led her to a mental breakdown that eventually brought her to move to a small town near the sea. Meanwhile, Eileen started to work as an assistant editor, a job that barely allows her to make a living, and went through a breakup after three years of relationship.
Despite all of these events, they remained friends and kept writing each other emails, not only about their lives, but also to discuss topics such as politics, history and aesthetic. In fact, the book structure alternates between narrative chapters and segments written in the form of an email. At first, I was a bit worried about this, since I had never appreciated the characters in Rooney’s works using emails to communicate: no millennial actually uses emails as a means of communication. Nevertheless, this time I wasn’t bothered at all. Moreover, I’m usually annoyed by how Rooney’s characters discuss major world issues, because their conversations always seem shallow to me; I must admit though that I’m finally starting to understand that her idea is precisely to imitate the majority of young people, who pretend to be interested and involved in those problems, but they never further analyse them nor manage to do anything practical about them. Also, I must say that this time their arguments were more profound than usual.
Moving to my favourite aspect of this book, I greatly valued the way Rooney addressed the topic of romantic and sexual relationships. In particular, she paints the birth of a new relationship between Alice and Felix, a man she met on Tinder. Additionally, she depicts the transformation of the friendship between Eileen and a childhood friend, Simon, into a romantic affair. Therefore, the author describes the first few times they have sex: I appreciated how she illustrates consent, the way the characters talk to each other in the meanwhile, asking whether the other likes something or not and always making sure their partner is comfortable. Amidst a sea of young adult books in which the characters always seem to already know what the other likes, which is of course unrealistic, Rooney portrays a much more realistic and healthier image of sex.
Another aspect I liked is the fact that all the characters showed their own flaws: Alice often appearing reserved and a bit rude, Felix being outspoken showing no respect, Simon always ready to help others but never willing to open up about himself and let others near him, and Eileen always needing reassurance and showing no self-confidence about her abilities and right to be loved. These defects emerge related to the relationships between the characters, showing clearly that Alice and Felix, or Eileen and Simon could never be imagined as soulmates, as perfect matches. In spite of this, they make it work; in the end of the book, Alice and Felix live together and Eileen and Simon are about to have a baby. It doesn’t have to be meant by destiny; it doesn’t have to be a relationship between two people whom one could never imagine separated because of the chemistry and passion that binds them. It can be ordinary. It can be two people deciding they are happy together, they can tolerate the features they dislike about one another, and they are willing to find someone to share their lives with. And I personally loved this.
I still didn’t understand some of the character’s actions, especially those of Felix (when he apparently insulted Alice for no reason): they seemed a bit out of nowhere and brought no consequences. Also, I would’ve spared the reader some of the random comments about communism and the working class and so on.
All in all, I certainly liked this book much more than “Normal people”, at the same level as “Conversations with friends”. I feel like it really left me something I’ll keep on thinking about....more
**spoiler alert** “Acido solforico” è un romanzo di Amélie Nothomb, autrice nota per i suoi toni e le sue tematiche provocatorie. Infatti, in questo l**spoiler alert** “Acido solforico” è un romanzo di Amélie Nothomb, autrice nota per i suoi toni e le sue tematiche provocatorie. Infatti, in questo libro immagina un reality show, “Concentramento”, che come si può intuire simula le dinamiche che erano presenti nei campi di concentramento, con tanto di detenuti e kapò. Devo ammettere che l’incipit, a mio parere, è di una potenza formidabile: “Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo. Per essere fermati non serviva alcun requisito. Le retate si verificavano ovunque: chiunque veniva portato via, senza possibilità di appello. L’unico criterio era l’appartenenza al genere umano.” Insomma, si parte con il botto, a quel punto le mie aspettative erano altissime: e, almeno inizialmente, sono state soddisfatte. Infatti, ho apprezzato soprattutto ciò che veniva prima di “Concentramento”, ovvero la presentazione dei kapò. In questo mondo immaginario, questi ultimi vengono assunti come se si trattasse di un lavoro comune; e la presentazione della kapò Zdena, una delle protagoniste, sottolinea come il programma si approfitti delle delusioni subite dagli esseri umani, delle loro debolezze, e della loro ignoranza per renderli degli esseri crudeli, semplicemente concedendo loro un piccolo briciolo di potere. “Zdena, che in vita sua non aveva mai superato un esame, venne accettata. La cosa la riempì di orgoglio.” Zdena, che si era sempre sentita inadeguata nella società in cui era cresciuta, che si era sempre sentita da meno, finalmente era stata ritenuta all’altezza, aveva trovato qualcuno che la apprezzasse, finalmente aveva acquisito un valore. “Pensa che i prigionieri cerchino di suscitare pietà?” chiede uno degli organizzatori a Zdena durante la sua presentazione. “È chiaro. Fanno la parte dei buoni.” È chiaro: tutte le persone che ho sempre avuto intorno a me si comportavano come se loro fossero quelli giusti e io quella sbagliata; ma se mi hanno sempre fatto sentire sbagliata, dopotutto non potevano essere tanto giusti. Queste prime pagine per me sono oro. Mentre le leggevo, pendevo dalla penna di Nothomb. Poi, secondo la mia opinione, è scaduta nelle banalità. Ovviamente si sottolinea come i prigionieri non abbiano più un nome e quindi ci si riferisca loro tramite delle sigle. Si parla del potere che un nome, che rappresenta la nostra identità, possa avere. E si parla del rapporto che si crea tra Zdena e una prigioniera, Pannonique, rapporto che alla fine in qualche modo conduce alla liberazione dei detenuti; io, personalmente, non ci ho trovato nulla di interessante. Le parti che ho trovato davvero rilevanti sono quelle in cui vediamo il reality dall’esterno. Vediamo come gli spettatori reagiscono alla richiesta di Pannonique di sabotare il programma smettendo di guardarlo: l’audience cresce sempre di più. Aumenta ad ogni richiesta, ad ogni tragedia, perché il pubblico ha fame di disgrazie altrui. Avrei voluto molto più di questo: avrei voluto un’idea di come il programma fosse stato ideato e messo in atto, di come i governi l’avessero reso legale, di come i prigionieri fossero stati reclutati. Purtroppo l’autrice sembra aver considerato inutili tutti questi dettagli e ha invece deciso di concentrarsi su questa relazione tra Pannonique e Zdena che io mi sarei volentieri risparmiata. L’idea è sicuramente brillante, ma ho trovato lo sviluppo abbastanza noioso e, appunto, focalizzato sugli aspetti sbagliati....more
“La particella alla fine dell’universo” è un’opera di divulgazione riguardante la fisica delle particelle, e in particolare il bosone di Higgs, realiz“La particella alla fine dell’universo” è un’opera di divulgazione riguardante la fisica delle particelle, e in particolare il bosone di Higgs, realizzata da Sean Carroll, fisico teorico e astrofisico americano. L’ho trovato un libro davvero interessante e didattico, che mi ha spalancato una finestra sull’intero mondo della fisica delle particelle, che conoscevo a malapena, suscitando in me un profondo interesse. Carroll infatti offre una panoramica ad ampio raggio su questo meraviglioso universo: spiega alcuni concetti fondamentali riguardanti la teoria quantistica dei campi, si sofferma sul modello standard, e si dilunga nella storia che ci ha portato a trovare il bosone di Higgs, concentrandosi sia sugli aspetti teorici, ovvero su come si sia arrivati a predire l’esistenza della particella e spiegare la sua utilità e il suo funzionamento, sia su quelli pratici, ossia su come l’LHC sia stato finanziato e costruito, sul suo funzionamento, e su quali siano state a grandi linee le tecniche pratiche attuate per riuscire ad affermare di aver effettivamente trovato proprio quella particella. Verso la fine del libro ha persino dedicato un capitolo a cosa ci aspetta, a quali misteri irrisolti della fisica contemporanea si spera di risolvere grazie allo studio del bosone di Higgs. Personalmente sono molto interessata agli aspetti teorici della questione, dunque sono rimasta affascinata dai capitoli riguardanti le simmetrie, e tutto ciò che da esse, e dalla loro rottura, può derivare. Inoltre ho trovato illuminante l’appendice che spiega perché sia addirittura necessario che le masse dei bosoni e dei fermioni del modello standard derivino dall’esistenza del campo di Higgs. Ho apprezzato anche gli innumerevoli aneddoti che Carroll ha raccolto nel suo libro, permettendo al lettore di toccare con mano le vite dei fisici, e persino la sua decisione di spiegare il funzionamento del bosone di Higgs raccontandone la storia, le teorie proposte e fallite, suggerendo perciò uno scorcio di come funzioni effettivamente il lavoro nell’ambito della fisica teorica. Sicuramente per chi è più appassionato invece di fisica sperimentale non mancano lunghi capitoli riguardanti il Large Hadron Collider stesso, e persino tanti altri acceleratori che hanno funzionato prima di lui. Insomma, complessivamente sono molto soddisfatta di ciò che ho imparato. Purtroppo il libro ha anche alcune pecche riguardanti l’ordine, la linearità e la chiarezza: innanzitutto, personalmente i capitoli mi sono sembrati disposti in ordine sparso, senza nessun senso. Si passa da spiegazioni teoriche, alle peripezie riguardanti la costruzione dell’LHC, al modo in cui è stato trovato il bosone, per poi tornare alla teoria, e via dicendo, rendendo il tutto molto sconnesso. Ho riscontrato questa confusione anche all’interno dei capitoli stessi riguardanti le basi teoriche, infatti ho dovuto spendere una certa fatica per unire i puntini e comprendere al meglio le spiegazioni: ho trovato spesso difficoltà, infatti, a capire quali intuizioni dei fisici del passato fossero effettivamente corrette, e quali invece fossero ormai obsolete. A rendere il tutto più difficile, in questi capitoli in particolare Carroll ha aggiunto davvero troppi aneddoti che non avevano nulla a che vedere con il discorso, e che quindi conducevano continuamente a perdere il filo. Tutto sommato comunque sento di aver acquisito parecchia nuova conoscenza, e anche nuovo interesse, dunque sono davvero contenta di aver affrontato questa lettura....more
“Helgoland” di Carlo Rovelli è un saggio divulgativo sulla meccanica quantistica, o meglio, sull’interpretazione filosofica che l’autore stesso ne vuo“Helgoland” di Carlo Rovelli è un saggio divulgativo sulla meccanica quantistica, o meglio, sull’interpretazione filosofica che l’autore stesso ne vuole proporre. Ho deciso di leggere questo libro quasi subito dopo aver finito “Un’occhiata alle carte di Dio”, un altro saggio divulgativo sullo stesso tema di Giancarlo Ghirardi. Avendo già letto Rovelli in passato, non mi aspettavo un approfondimento e una trattazione tecnica al livello di quelli di Ghirardi, i due sono autori ben diversi; mi aspettavo qualcosa di più leggero, magari più superficiale ma anche più intuitivo e immaginifico. Insomma, stavo cercando un’altra prospettiva che potesse arricchire la mia conoscenza riguardo la materia. Diciamo che, dopo non molte pagine, mi sono resa conto che il modo in cui il libro viene venduto è un po’ fuorviante: di fisica si parla prevalentemente nei primi due capitoli (su sette), e vagamente in un capitolo successivo; tutto il resto è filosofia e interpretazione filosofica della meccanica quantistica (strettamente dal punto di vista dell’autore). Anzi, sicuramente la discussione filosofica è altamente più approfondita rispetto a quella scientifica: possiamo affermare che il libro sia adatto ai “non fisici”, ma a mio parere non arricchisce quasi per niente questi lettori da un punto di vista dei concetti di base della meccanica quantistica. Può sicuramente trattarsi di uno spunto per lasciarsi affascinare dalla materia, ma dubito che una persona che non ne sapeva nulla prima possa chiudere questo libro affermando di saperne almeno qualcosa. Al contrario, il saggio può essere arricchente sia per persone che ne sanno già di meccanica quantistica e sono curiose riguardo le sue possibili interpretazioni, sia per persone strettamente interessate alla filosofia. Nei primi capitoli, come ho già anticipato, Rovelli parla un po’ della nascita della meccanica quantistica: parla di Heisenberg e del suo principio di indeterminazione, di Schrodinger e della sua funzione d’onda e di ben poco altro. Più avanti dà anche un’idea di cosa sia l’entanglement, ma si sofferma ben poco sul concetto da un punto di vista fisico. Dopo questa breve infarinatura, Rovelli non vede l’ora di parlare della sua personale interpretazione della materia. Si lancia in un elenco di alcune interpretazioni della meccanica quantistica (le variabili nascoste e le teorie a molti mondi ad esempio), affermando: “Il resto di questo capitolo è dunque denso di speculazioni. Se vi annoiano, saltate al capitolo successivo, dove arrivo al succo: la prospettiva relazionale.” Personalmente non ho apprezzato per niente questo snobismo nei confronti di idee che non sono la sua: ne parla quasi invitando il lettore a ignorarle, come se tutte le altre ipotesi fossero state falsificate dalla scienza e la sua invece confermata da migliaia di esperimenti (quando in realtà la sua è un’idea come le altre). Provenendo dal libro di Ghirardi, che in un capitolo parla proprio delle stesse teorie, ma sottolineando pregi e difetti di ciascuna, compresa la sua (la teoria Ghirardi-Rimini-Weber), la trattazione di Rovelli mi è sembrata poco professionale e fuorviante. Anche più avanti mi sono ritrovata in alcune situazioni simili: Rovelli introduce due postulati riguardanti “l’informazione rilevante”, citandoli da un suo stesso articolo, senza sottolineare se siano supportati dal resto della comunità scientifica o meno; o ancora, Rovelli tratta il problema della coerenza tra la realtà macroscopica e i fenomeni quantistici come di una questione completamente risolta, mentre Ghirardi dedica capitoli e capitoli del suo libro per spiegare come invece questo sia un argomento ben lontano dall’essere chiaro e risolto. Insomma, questi sono i tratti del libro che ho trovato un po’ fastidiosi. Tornando agli argomenti del saggio, per quanto fosse lontano dalle mie aspettative è stato comunque una lettura molto interessante: l’interpretazione che Rovelli propone della teoria presenta una coerenza complessiva affascinante, e lui è sicuramente molto bravo a divulgarla. Egli crea infiniti collegamenti con molte altre visioni filosofiche del mondo, è colto e preciso nel mettere in comunicazione nozioni, racconti e idee provenienti da tutti gli ambiti del sapere, dalla fisica, alla filosofia, dalla storia alla biologia, dalle neuroscienze alla letteratura. Purtroppo spesso tende a divagare, ed essere un po’ disordinato e a tratti ripetitivo: nel tentativo di risultare letterario e poetico, si perde un po’ l’ordine logico, finendo per ripetere lo stesso concetto qua e là in salse diverse, e saltando da un argomento all’altro in modo talvolta difficile da seguire. Sicuramente segnandosi i passaggi più significativi e tornando a rileggerli a fine libro per rimettere insieme i pezzi si ottiene, come ho già sottolineato, un’immagine del tutto coerente e affascinante, ma nel bel mezzo della lettura mi sono sentita un po’ sbalzata da un lato all’altro in modo caotico. Soprattutto la parte finale, dove si passa al problema della coscienza e della soggettività, e del modo in cui l’interpretazione relazionale della meccanica quantistica può aiutare a fare progressi in questo senso, avrei gradito un po’ più di ordine formale. Tutto sommato è stata una lettura imperfetta ma da cui sono riuscita a trarre qualcosa di nuovo su cui riflettere e che, in un modo o nell’altro, ha soddisfatto il mio desiderio di una nuova prospettiva sulla meccanica quantistica....more